Fotografia non come risposta, ma come domanda. Fotografia che indaga, riflette, osserva, racconta. Gli scatti di grandi fotografe spesso non apprezzate quanto i loro colleghi uomini, che ancora più spesso hanno dovuto trovare il modo di incastrare famiglia e passione, famiglia e lavoro.
Fotografe donne che sono anche esempi di caparbietà, determinazione e forza. A Torino potete trovare Ruth Orkin, Eve Arnold e Lee Miller per tutta la primavera in tre mostre diverse, con i loro scatti unici e intramontabili. Io sono felice di averle conosciute un po’ meglio.
Tre grandi fotografe in mostra a Torino
Eve Arnold, la fotografia come memoria dell’umanità
Non volevo essere una donna fotografa, questo mi avrebbe limitata. Volevo essere una fotografa donna, con tutto il mondo aperto di fronte alla mia macchina fotografica.
Eve Arnold
Eve Cohen nasce nel 1912 a Philadelphia. Figlia di una famiglia di immigrati russi poco abbienti, nonostante questo i genitori riescono a iscriverla all’Università di Medicina. Eve non vuole pesare sulla famiglia e dopo un paio di anni lascia l’Università e inizia a cercare lavoro dopo essersi trasferita a New York. Lavora per l’azienda Standard Brands, che si occupa di rullini fotografici. Inizia così a nascere in lei una passione e un interesse per la fotografia, nella quale è immersa tutto il giorno. Sarà infatti il suo fidanzato di allora a regalarle la sua prima macchina fotografica.

Con la macchina fotografica stretta tra le mani, Eve si iscrive a un corso di fotografia di sei settimane. È qui che conosce Aleksej Brodovič, art director della rivista di moda Harper’s Bazaar, che è uno degli insegnanti e si accorge subito del talento di Eve. Negli anni Quaranta pubblica un servizio fotografico sulla rivista, una sfilata ad Harlem, ed è qui che danno scandalo e fanno parlare di loro.
Nel frattempo è il 1948, Eve ha 36 anni, conosce e sposa Arnold Arnold. L’anno dopo hanno un bambino. Dal marito prende il cognome, che decide di tenere anche dopo il divorzio. Eve sa che la sua vita sarà nella fotografia, anche se è all’apparenza una casalinga che ha lasciato il lavoro per occuparsi del figlio.
Uno dei suoi reportage più unici e interessanti è negli ospedali di New York. Decide di fotografare i primi 5 minuti di vita dei bambini, con il reportage A baby’s first five minutes. Le foto sono di una sensibilità e un eroismo unici. Ma anche di una sofferenza grande: Eve ha da poco perso un bambino.



Del suo grande talento si accorge anche Henry Cartier-Bresson, che aveva appena fondato la Magnum Photo insieme a Robert Capa e che la chiamò a collaborare con loro: Eve Arnold diventa così la prima collaboratrice donna della Magnum.
Per un caso fortuito le si presenta un’occasione imperdibile: sostituire un grande fotografo per scatti ad alcune celebrità. Eve diventa richiestissima, tutti vogliono essere fotografati da lei, soprattutto dopo il servizio fotografico a Marilyn Monroe, in cui la ritrae fragile e insicura, con scatti ben diversi a quelli a cui siamo abituati da diva.



Ma Eve Arnold non si accontenta solo di fotografare star e continua a viaggiare e a documentare con i suoi reportage la situazione delle donne in tutto il mondo. Fondamentale in questo senso è il lavoro che produce tra il 1969 e il 1971 quando realizza il progetto Dietro al velo, che successivamente diventa anche un documentario, ed è una grande testimonianza della condizione della donna in Medio Oriente.
Eve Arnold è morta nel 2012, a Londra. Tre mesi dopo la sua morte avrebbe compiuto 100 anni.
A Torino, da CAMERA, una grande mostra su Eve Arnold
A Torino, da CAMERA, è presente una grande mostra su Eve Arnold, dal nome Eve Arnold. L’opera 1950-1980, visitabile fino al 4 giugno 2023. La mostra ripercorre la carriera fotografica di Eve dagli anni Cinquanta, quando inizia a far parte dell’agenzia fotografica Magnum Photos, che ha partecipato alla cura della mostra: 170 immagini per scoprire e conoscere il talento e il lavoro di una delle più grandi fotografe del XX secolo.
Ascolta questo podcast dedicato a Eve Arnold:
Tre grandi fotografe in mostra a Torino
Ruth Orkin, il sogno mancato di diventare regista
Fotografare è un ottimo modo per incontrare persone. Ti dà tutti i tipi di scuse per essere dove non dovresti essere. Ti ritrovi ad assistere a eventi importanti.
Ruth Orkin
Ruth Orkin nasce a Boston nel 1921. Aveva un grande sogno, difficile da realizzare in quanto donna: diventare regista. Ma all’epoca era più facile stare davanti alla macchina da presa che dietro, come la mamma di Ruth, Mary Ruby, celebre attrice del cinema muto.

Fu forse da questo incontro precoce con il cinema e per tutto il tempo trascorso nei corridoi di Hollywood che Ruth Orkin inizia a nutrire questo desiderio, che quasi subito mette da parte ma che in qualche modo non smette mai di alimentare. E forse è proprio per questo che Ruth Orkin scatta fotografie che sembrano in movimento: i suoi protagonisti sono cristallizzati ma dinamici, sembrano narrare una storia, raccontare qualcosa, portare lo spettatore proprio lì, dove sono loro.
Con la prima macchina fotografica ricevuta in regalo a 11 anni, una Univex a 39 centesimi, Ruth inizia a scattare, senza smettere più, anche se la sua passione rimane il cinema. E nell’industria cinematografica inizia a lavorare proprio come fattorino, rimanendo ammaliata da quel mondo e cercando di imparare quanto più possibile. Parallelamente inizia a seguire un corso di fotogiornalismo al Los Angeles City College, per diventare fotoreporter.

Ruth amava scattare fotografie per le strade di New York, adorava appostarsi ai piani alti e fare scatti ai passanti, turiste sedute a un caffè, viaggiatori di corsa sulla banchina della Grand Central Terminal. Per Ruth Orkin la fotografia permetteva di far guardare alle persone ciò che il fotografo vuole che guardino.



Le sue fotografie finivano spesso sui giornali e sulle riviste dell’epoca, come dimostra questo servizio fotografico scattato dalla stessa Ruth.


Uno dei più interessanti reportage è quello che parte dall’immagine An American girl in Italy, in cui Ruth Orkin dopo aver conosciuto nel 1951 Ninalee Craig, detta Jinx, decide di scattarle alcune fotografie iconiche in giro per l’Italia, in un periodo in cui era piuttosto raro incontrare donne che viaggiavano in solitaria in Europa. Gli scatti che ne scaturiscono sono un po’ da Dolce Vita e tutti rigorosamente in bianco e nero.


A Torino, a Palazzo Chiablese, una grande mostra dedicata a Ruth Orkin
A Torino, nelle Sale Chiablese, nella mostra Ruth Orkin. Una nuova scoperta è possibile scoprire l’opera monumentale di questa grande fotografa perlopiù ancora sconosciuta. La particolarità degli scatti, quasi tutti eseguiti in un arco di tempo che va dal 1939 al 1952 è che sono quasi tutte fotografie originali, stampate dalla stessa Ruth Orkin e riscoperte recentemente dal grande lavoro di ricerca che sta facendo la figlia. La mostra è visitabile fino al 16 luglio 2023.
Ascolta questo podcast dedicato a ruth orkin:
Tre grandi fotografe in mostra a Torino
Lee Miller, da fotomodella a reporter di guerra
Elisabeth (Lee) Miller nasce a New York nel 1907. Nata da madre canadese e padre di origine tedesca, Lee Miller era la secondogenita e la prediletta del padre, che le tramandò l’amore per la fotografia. Crebbe in una famiglia agiata e la sua infanzia privilegiata fu serena fino a quando, all’età di 7 anni, Lee Miller venne abusata mentre era a Brooklyn da amici di famiglia.
Si dedica al teatro, per rendersi conto quasi subito che non era la sua vocazione. La carriera da modella professionista le capita completamente per caso: mentre passeggia a Manhattan rischia di essere investita da un’auto. Fu un passante a salvarla: è Condé Nast in persona, il fondatore del colosso editoriale proprietario di Vogue e Vanity Fair. Condé Nast rimane affascinato dal portamento e dalla sua bellezza e le propone di diventare fotomodella per Vogue. Ha soli 19 anni e viene fotografata da Edward Steichen, Heunyngen-Heune e Arnold Genthe, finendo sulle riviste patinate che leggono le signore. È una delle modelle più famose e apprezzate di New York.
Nel 1929 Lee Miller lascia New York e si trasferisce a Parigi, intenzionata a diventare lei stessa fotografa. Tra Lee Miller e Man Ray iniziò una collaborazione che durò tre anni, nei quali Miller divenne fotografa, modella, musa e compagna di Man Ray. Miller partecipò al movimento fotografico surrealista ed entrò in una cerchia di artisti e fotografi con i quali mantenne rapporti e intraprese collaborazioni per tutto l’arco della sua vita. Quando finì la storia con Man Ray, tornò a New York e aprì uno studio fotografico con il fratello, collaborando con nomi importanti dell’arte e della moda.
Nel 1934 conosce il facoltoso uomo d’affari egiziano Aziz Eloui Bey, si innamorarono e sposarono nel giro di pochi mesi. L’anno dopo seguì il marito a Il Cairo e si innamorò del paesaggio arido desertico, scattando numerose fotografie tra rovine, piramidi e templi.
L’idillio dura poco però, nel 1939 torna a Londra per vivere con un altro uomo, Roland Penrose, pittore surrealista e curatore d’arte. Quando iniziarono i bombardamenti il pittore venne chiamato alle armi, Miller decise invece di rimanere a Londra e iniziò a lavorare per Vogue. Per la rivista documenta i bombardamenti tedeschi che avvenivano a Londra e venne riconosciuta fotoreporter di guerra, iniziando a collaborare con David Sherman. Le sue fotografie nei campi di concentramento di Buchenwald e Dakau furono una delle prime testimonianze di quello che davvero era accaduto.
Dopo la guerra continuò a collaborare per Vogue, ma poco per volta si ritirò, anche in seguito all’aver sviluppato un disturbo post traumatico da stress.
Quando nel 1947 scopre di essere incinta, ufficializza il divorzio dal suo marito egiziano e sposa Roland Penrose, da cui prese anche il cognome. Ha 40 anni quando nasce il suo primo figlio.
Gli ultimi anni della sua vita furono difficili, tra la depressione e l’alcolismo e i rapporti familiari molto tesi. Mise in soffitta i suoi scatti e si dedicò alla cucina.
Il 21 luglio 1977 Lee Miller muore tra le braccia del marito a causa di un cancro. Fu il figlio Antony, ignaro del passato della madre, a riscoprire il grande lavoro della madre tra la polvere della soffitta e a farla riscoprire negli anni Ottanta, grazie alla condivisione dei suoi scatti tramite il Lee Miller Archives.
2 libri su Lee Miller e 1 libro bio-foto(grafico)
C’è tantissima letteratura sulla talentuosa fotografa e donna prorompente, dalle mille stagioni e dai grandi traumi. Se volete conoscerla vi consiglio tre libri su Lee Miller:
- Le molte vite di Lee Miller, un libro che è una biografia della grande fotografa. Il libro è stato scritto dal figlio Antony Penrose che dopo la sua morte ha cercato di ricostruire le vicende che hanno interessato e traumatizzato la madre ben prima della sua nascita. Madre che per lui rappresentava un grande enigma. Il libro fotografico ha 115 immagini.
- Le indiscrete. Giornalista, scrittrice e saggista italiana, Elisabetta Rasy racconta in questo libro le vicende e le storie di cinque fotografe che con la loro macchina fotografica in mano hanno un po’ cambiato il mondo. Tra queste, ci parla anche di Lee Miller.
- La vasca del Führer. Partendo da una fotografia in bianco e nero nella quale Serena Dandini si è imbattuta per caso, la scrittrice decide di ripercorrere le vicende della vita di Lee Miller, tra le più grandi personalità di tutto il Novecento. Questo libro è il tentativo di far conoscere la sua appassionata e imprevedibile vita.
Al Castello di Rivoli, nella mostra Artisti in guerra, alcuni scatti di Lee Miller
Al Castello di Rivoli, all’interno della mostra Artisti in guerra è presente una piccola rassegna fotografica di Lee Miller.
All’interno della mostra sono presenti le foto che Lee Miller ha scattato nel 1945 quando ha partecipato alla liberazione dei campi di concentramento di Buchenwald e Dakau. È anche presente la sua celebre fotografia mentre si trova nella vasca da bagno di Hitler, scattata dall’amico e fotoreporter David Sherman, al quale ha scattato pochi attimi dopo una foto simile.
