Il valore delle cose

Qualche giorno fa guardavo una foto di molti anni fa. E pensavo al valore nostro che diamo alle cose, che è proprio solo nostro e che supera di gran lunga il valore effettivo di quella cosa. 

La foto in oggetto era del bagno della casa in cui sono cresciuta, dove ho passato tutta la mia infanzia. Quella è la casa in cui ho fatto un sacco di prime volte; i primi passi, il primo di una lunga serie di bagnetti, le scivolate. Ricordo mia sorella che cerca di insegnarmi a fare la capriola ma io che non voglio perché ho paura di spaccarmi la testa, tutte le cose che abbiamo rotto, i cartoni che abbiamo visto, le feste di compleanno fatte insieme perché siamo nate a distanza di cinque giorni, le prime cene con le amiche, i pigiama party.

Guardando la foto mi sono resa conto di quanto brutte fossero le piastrelle del bagno. Intanto, erano fino al soffitto e righe sottili verticali grigie e bianche si alternavano: il risultato era abbastanza tetro. Quel bagno e l’arredo anni ’80 non avevano niente a che fare con quella che a oggi, sarebbe la casa dei miei sogni. Probabilmente se andassi a vedere una casa con un bagno così, la scarterei prima di uscire. Eppure, il ricordo di quel bagno ha un valore che definirei inestimabile. Quando mia mamma usciva per andare a fare qualche commissione e io ero abbastanza grande- e contenta-per stare a casa da sola, mi dirigevo subito in bagno. Prendevo il cotone e me lo mettevo sotto la maglietta per simulare un seno che ovviamente non avevo e poi aprivo i cassetti che erano proibiti con i trucchi di mia mamma. A quel punto mi spalmavo generose quantità di rossetto sulle labbra e mi mettevo il fard sopra gli occhi perché anche Clio era ancora una bambina, non esistevano ancora i tutorial e probabilmente neanche lei sapeva la differenza tra fard, terra, blush e cipria. Quando poi mia mamma rientrava, mi lavavo la faccia con l’acqua- anche perché non esistevano gli struccanti bifasici- ma ricordo che le labbra mi rimanevano come dopo una sbaciucchiata adolescenziale. Mia mamma alzava gli occhi al cielo ma non mi ha mai sgridata veramente. Sotto sotto nutro ancora il sospetto che in realtà non le interessasse molto dei suoi trucchi o che probabilmente il cassetto proibito era da tutt’altra parte e quello era stata attrezzato proprio per farci divertire.

Un altro ricordo particolare è da destinare alla nostra doccia. Un angolo del bagno era stato adibito a doccia perché ricordo che erano presenti le piastrelle menzionate poco fa. La doccia era abbastanza ampia e c’era una sorta di rientranza, fatta a gradino, dove mettevamo tutti i prodotti che servivano a lavarsi. Io e mia sorella chiamavamo quei pochi centimetri lo scalino e l’unico modo per non farci arrivare il getto gelido addosso quando facevamo la doccia insieme, era schiacciarci in quell’angolino; se qualche schizzo freddo ci raggiungeva, erano urla! Oppure per dispetto ci spingevamo sotto e il più delle volte una delle due finiva per piangere. Una volta, andavo alle medie, non mi entrava in testa il verbo essere in francese e quindi avevo escogitato un modo per ripassarlo anche sotto la doccia. Avevo scritto la coniugazione del verbo, messo in una busta trasparente e appeso in quel famoso angolino. Non ci crederete ma fu veramente utile,non l’ho più dimenticato!

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