Checco Zalone è uno che fa parlare di sé, che lo voglia o no. E che divide, tra chi lo critica e si indigna per il suo successo e chi il 31 Dicembre al posto di fare la coda per panettone e spumante, era in coda per vedere il suo ultimo lavoro, “Quo vado?”, uscito appunto a cavallo tra il vecchio e il nuovo anno. Arrivato al suo quarto film, da subito è stato record di incassi.
E’ vero che l’Italia ha problemi ben più gravi per interessarsi a quello che succede nelle sale cinematografiche, ma di fronte a un incasso di 31 milioni di euro in soli cinque giorni di proiezione, sorge spontaneo interrogarsi sul perché gli italiani, che appunto di problemi non sono mai sprovvisti, ad andare a vedere Checco, proprio, non rinuncino. Quando sono andata al cinema, la maggior parte delle proiezioni erano già al completo ed erano disponibili solo le prime file. Il film, di cui non svelerò troppo per non rovinare la sorpresa a chi (a giudicare dai numeri, pochi) ancora deve vederlo, mette dentro un’insalata di temi, più o meno svolti di cui politica, religione e società hanno dibattuto e continuano a dibattere. Tema centrale, il lavoro e in particolare il “posto fisso”, il mito del tempo indeterminato, obiettivo e miraggio di giovani e meno giovani e l’idea, forse sbagliata forse no, che quando ce l’hai tra le mani sei arrivato, non puoi e non devi ambire ad altro, perché lo scopo è stato raggiunto. E questo pone la sfida del “mantenere il posto fisso, a qualunque costo”, tra situazioni grottesche e paradossali. Ma accanto all’incertezza lavorativa, troviamo tutta una serie di temi attuali che ruotano intorno alle vicende del protagonista e degli altri personaggi, come la difficoltà e il privilegio di vivere in un posto totalmente diverso dall’Italia, gli stereotipi di genere, la famiglia allargata, i diritti delle coppie gay, la difficoltà dell’integrazione. Forse il suo segreto è proprio quello di riuscire a parlare di temi attualissimi e caldissimi con la giusta leggerezza, non scadendo mai nella volgarità, e rendendosi simpatico a grandi e piccoli, per quel suo fare scanzonato, quelle sue smorfie e per quell’autoironia di cui solo le persone intelligenti sono dotate.
Nonostante la commedia debba fare più divertire che riflettere, una cosa grande che ci insegna Checco, è che nonostante le disavventure della vita, la chiave di tutto è la capacità di adattarsi, di cambiare, di rinnovarci continuamente, di guardare con occhi nuovi tutto ciò che ci circonda, cercando di trovare del buono anche in una bufera di neve in Norvegia.